Avventure...
in Nepal di Francesco Maffei Nepal:
un nome breve sempre più spesso in bocca a tanti, viaggiatori o meno, alpinisti
o semplici escursionisti. L'origine è alquanto discussa: non si sa se derivi da
un antichissimo idioma asiatico significante "il paese della lana" (letteralmente
Ne Pala, cioè casa della lana) o dalla antica lingua Newari, parlata dagli originari
ed ancora oggi i più numerosi abitanti della valle di Kathmandu, il cui significato
era "paese di mezzo" (Nebh Pal). Certamente è questo ultimo termine,
oltre che ad essere il più accreditato, a rappresentare sinteticamente la quintessenza
di questo territorio posto tra le più maestose ed alte montagne del Pianeta ed
una delle più grandi pianure: la piattaforma gangetica. Contrasto e sincretismo,
cioè fusione, la più ampia, di cose apparentemente così lontane ed addirittura
agli opposti: questo è in fin dei conti ciò che si osserva in un viaggio in questi
luoghi. Ed è questo che, durante e dopo, ci pervade in maniera assillante e choccante.
Si potrebbero scrivere fiumi di parole dopo un viaggio del genere; bisogna quindi
limitarsi alle più importanti... anzi no: scriverò quello che subito e spontaneamente
mi viene fuori perché significa che è solo questo che voglio comunicare veramente;
una volta tanto è meglio e più fruttuoso escludere il filtro del ripensamento!? 
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Dai vissuti sentieri delle montagne nepalesi...
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...alla calma interiore di un monastero buddista
Questo
viaggio è stato, per me, il primo in Asia, in un mondo così lontano geograficamente
e spiritualmente: quindi un'esperienza unica di per se stessa. Ma, fra le migliaia
di sensazioni, quale devo trasmettere e di cosa devo scrivere? Non so davvero
dove cominciare. Scrivere della mia prima esperienza con "Avventure nel Mondo"
e di come ci siamo trovati con il gruppo? Parlare dell'esperienza del trekking
intorno all'Annapurna oppure del viaggio in sé e di tutti i luoghi visitati sciorinando
un'insieme di nomi incomprensibili ai più? Già in questo bollettino avevo
scritto che viaggiare, per me, significa voler ricercare qualcosa nel luogo in
cui ti rechi: semplice curiosità, un modo di pensare o anche un particolare sito
geografico e che ci si debba preparare al viaggio secondo questa angolazione.
E così ho sempre fatto nei miei viaggi, dalla gita di due ore fuoriporta al lungo
soggiorno all'estero. Questa volta, per varie circostanze, la mia "preparazione"
non è stata come avrei voluto. Non avevo letto molto sul Nepal, non avevamo un
preciso e dettagliato diario di viaggio (dato la peculiarità dei viaggi di "Avventure"),
non sapevo chi fossero i miei compagni di viaggio e soprattutto non avevo in mente
una precisa priorità delle cose da visitare. Non ce n'era bisogno!! Il Nepal
ti entra dentro, prima senza accorgertene, poi sempre più spudoratamente, senza
che tu abbia bisogno di cercare qualcosa: non devi consumare scene, immagini ed
itinerari come fai per la visita di altri paesi, non devi correre alla ricerca
di questa o quella cosa da poter raccontare. Non andare tu da lui: entrerà, discreto,
lui in te. Fermati ed aspetta: nell'attesa c'è già il Nepal. Alla fine, questa
esperienza ti stordisce e molteplici cause concorrono a ciò: urla e richiami di
adulti, pianti di bambini, la sporcizia immensa che ti accoglie in alcuni luoghi,
l'umido perenne di altri, vicoli e strade senza un nome, odori pregnanti, i più
disparati, ai quali il nostro olfatto così omogeneizzato e livellato fa molta
difficoltà ad abituarsi, ed ancora i melodici e ripetuti Namasté (il saluto
dei nepalesi che concentra in un unica parola un'insieme di auguri, soprattutto
spirituali), gli occhi onnipresenti del Buddha nei vari stupa della valle,
che sembrano entrarti nell'intimo e seguirti dovunque, il ripetersi continuo del
millenario mantra Om mani padme hum dei monaci buddisti, giganteschi rododendri,
immensi ficus e stelle di natale, piantagioni di marijuana ad altezza di uomo,
la visione delle paludi ai confini con l'India dalla groppa di un elefante per
più di quattro ore e tanto altro ancora. Alla fine del viaggio come
posso riassumere la mia esperienza? Devo dire che sono state due settimane che
hanno costituito la serie di emozioni più forti della mia vita, le quali, allo
stesso tempo ti eccitano e ti esauriscono, ma che, certamente non mi abbandoneranno
mai: come posso dimenticare lo sguardo di una vecchia donna, in alta montagna,
alla quale avevamo offerto un piccolo pezzo di grana padano portato dall'Italia,
mentre con una estrema lentezza e attonita voluttà, forse mai provata per un cibo,
gustava questa "manna" del cielo? In fin dei conti sono queste le cose
che rimangono di un viaggio. Finora non ho parlato di escursionismo o di alpinismo
e spero di non far trasalire i lettori più tecnici o votati ad imprese da vetta:
la verità è che non abbiamo avuto esperienze di tale tipo. Scrivere che il
meraviglioso trekking che abbiamo vissuto in quattro giorni ai piedi dell'Annapurna
(8091 m) non è stato molto più faticoso che della scalata al Gran Paradiso, non
è stato molto lungo, è stato coadiuvato da guide e cuochi etc... ma non posso
non definirlo surreale. Nel senso che mi sarebbe stato difficile immaginare un
qualcosa di simile prima di effettuarlo. E' difficile credere di stare un giorno
intero sotto un'acquazzone (fra l'altro pregando che continui per smorzare l'immensa
afa che ti attanaglia) e, nello stesso tempo cercare dappertutto con fare ossessivo
(chi ha provato questa esperienza sa che questa è la parola giusta) se dalle scarpe
stanno salendo, numerose e veloci, le subdole sanguisughe (per esperienza diretta
e per sfatare il mito dell'esotico per forza, ricordo che le sanguisughe del Padule
sono identiche, anche se nettamente meno numerose!!!). E' difficile rendersi conto
che quei sentieri così faticosi sono le pulsanti e vitali "autostrade"
degli abitanti della montagna e che la vita si svolge prevalentemente su questi
sentieri. A chi volesse intraprendere un viaggio in Nepal o in luoghi simili mi
sentirei di dare un "consiglio preventivo": voler prendere a man bassa
le forti emozioni suscitate diventando dei camaleonti, cioè compenetrandoti nell'ambiente
e non osservarlo, ma, nello stesso tempo non avere un atteggiamento snobistico
da new age che ti porta a parlare di serenità, spiritualità, assenza di bisogni
che porta alla felicità, mentre accanto a te una persona ha una gamba in piena
cancrena (come è successo effettivamente a noi) che non viene curata per indigenza
e, soprattutto per cultura. Viaggiare, quindi, non solo per una statistica o un
record (non sono arrivato nemmeno a 4000 metri : che pazzo che sei Francesco!!
Andare in Nepal senza vedere l'Everest, nemmeno da lontano o non scalare almeno
un settemila!!), ma per capire e riflettere, e poi soprattutto cambiare di conseguenza
il nostro modo di vivere quotidiano. A tutti voi cari amici un caloroso
namatsè (e, se non lo sapete, vi ho augurato tutto il bene di questo mondo!).
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