Cosa, città di fondazione romana, poi fortezza
bizantina e castello medievale con il nome di Ansedonia, sorge sulla costa del
Mar Tirreno, su un promontorio roccioso (114 m s.l.m.) che il Tombolo di Feniglia
aveva legato alla primitiva "isola" dell'Argentario.
La colonia di Cosa
fu fondata nel 273 a.C., sette anni dopo la conquista della città etrusca di Vulci
(280 a.C.), capitale del territorio che si estendeva dalla valle dell'Albegna
a quella del Fiora e oltre. Il nome derivò da quello più antico di Cusi o Cusia,
un piccolo centro etrusco che sorgeva al posto dell'attuale Orbetello. Le colonie
fondate da Roma avevano, soprattutto in quel periodo, sia la funzione "di tenere
sotto controllo" i precedenti abitanti della zona, che di respingere gli attacchi
dei nemici. Cosa, in posizione strategica e munita di mura imponenti, sembra rispondere
perfettamente a questa descrizione: era, infatti, circondata da Etruschi ostili,
non ancora definitivamente sottomessi, e si affacciava sul mare Tirreno, da cui
si preannunciava l'attacco dei Cartaginesi; la prima guerra punica scoppiò solo
nove anni dopo, nel 264 a.C.
Il centro urbano presentò, fin dalla fondazione,
il tipico impianto delle città romane, costituito da una fitta griglia di strade
che s'incrociavano ad angolo retto. L'area urbana fu edificata in vari decenni,
dando la precedenza alle opere di fortificazione e agli edifici pubblici. Il punto
più alto della città è l'arx, centro religioso con il Capitolium, il tempio dedicato
alla triade Giove-Giunone-Minerva e simbolo della religione di stato. In basso
è invece la piazza del foro, con le sedi dell'attività politica (comitium, curia
e la piazza stessa, un tempio dedicato alla Concordia e la basilica civile). Le
case dei coloni, disposte longitudinalmente nei lunghi isolati rettangolari, erano
modulari e standardizzate. Ciascuna casa, di proporzioni allungate, era divisa
in due parti: abitazione e orto, e poteva disporre di una cisterna sotterranea.
La classe dirigente abitava invece in case più ampie e lussuose, disposte lungo
le strade principali della città.
La colonizzazione romana non si limitava
alla creazione di un nuovo centro urbano. A Cosa è evidente che l'intero territorio
fu ristrutturato in base ad un progetto unitario e coerente; il paesaggio mutò
radicalmente: furono costruiti ponti e strade, e i terreni agricoli furono divisi
secondo i principi della centuriazione. Il territorio di Cosa conserva ampie tracce
di questa tipica divisione romana dei campi. In questa zona, dove l'idrografia
è sempre stata problematica e l'impaludamento sempre in agguato, la centuriazione
romana risolveva le difficoltà di drenaggio delle piane costiere mediante una
fitta rete di canali perpendicolari tra loro che riproducevano, forse non a caso,
l'inclinazione del tratto terminale del fiume Albegna. La centuriazione serviva
però anche per la delimitazione dei lotti di terra che erano distribuiti ai coloni.
A Cosa ciascun colono sembra abbia avuto un podere di 8 o16 iugeri, pari ad uno
o due ettari circa. I rappresentanti della classe dirigente potevano invece contare
su lotti più estesi.
Ai piedi del promontorio su cui sorgeva la città fu
costruito il "Portus Cosanus", che ebbe il maggior sviluppo all'inizio del I secolo
a.C., quando furono estesi i moli e i frangiflutti del periodo precedente, mentre
l'estesa laguna retrostante (di cui oggi rimane solo un residuo: il Lago di Burano
presso Capalbio) fu utilizzata per allevare pesci. Tutta l'area circostante il
porto fu attrezzata con imponenti infrastrutture tagliate nella roccia del promontorio.
Per consentire il drenaggio e per evitare l'insabbiamento del porto e della laguna,
fu sfruttata la forza delle correnti di un emissario della laguna e di una grande
fenditura naturale della roccia, oggi denominata: Spacco della Regina, sostituito,
in seguito da un canale, oggi noto come "la Tagliata". Il canale era attrezzato
con paratie mobili in legno, che scorrevano in apposite scanalature, ed erano
aperte, secondo la stagione, in modo che la corrente forzata spazzasse i detriti
accumulati nel porto e consentisse il collegamento con il mare aperto, necessario
per evitare il ristagno dell'acqua.
La città, forse, aveva un altro approdo
in posizione simmetrica dall'altra parte del promontorio, all'origine del tombolo
di Feniglia. Un Portus Fenilie, documentato in fonti tardo-antiche e medievali,
potrebbe essere esistito già in età tardo - repubblicana, come farebbero pensare
i grandi scarichi di anfore rinvenuti nella pineta.
Nel corso del I secolo
a.C. si verificarono profondi mutamenti economici e sociali che ebbero l'effetto
di separare la storia della città da quella del territorio. In città si ristrutturarono
gruppi di case dei coloni, al fine di ottenere delle "domus" del tipo romano tradizionale,
con atrio e peristilio, intaccando il quadro dell'urbanistica originaria della
colonia. Contemporaneamente la città perse il ruolo di presidio militare della
zona (nell'89 a.C., con la Lex Iulia, Etruschi e coloni latini ebbero la cittadinanza
romana) e la valle dell'Albegna da Saturnia a Talamone fu investita in pieno dalla
guerra fra Mario e Silla. Intorno al 70 a.C. Cosa fu devastata, probabilmente
nel corso delle guerre fra Romani e pirati e restò pressoché abbandonata fino
al 20 a.C., quando fu ricostruita, ma solo parzialmente (il foro e l'acropoli).
I mutamenti che interessarono il territorio furono anch'essi influenzati
dagli avvenimenti bellici. Il segno della rovina dei coloni, come piccoli proprietari,
è la scomparsa pressoché totale dei loro insediamenti nella campagna, a favore
di nuove aziende agricole molto più grandi, gestite facendo ricorso a schiavi.
Si tratta delle ville che sorgono fra II e I secolo a.C., sovrapponendosi ai campi
centuriati della colonia e riutilizzandone probabilmente le delimitazioni e i
drenaggi fondamentali. Il fenomeno non è limitato a questo territorio, ma investe
vaste zone dell'Italia, in particolare le aree campane, laziali ed etrusche.
Nella zona è stata scavata integralmente la villa di Settefinestre, un complesso
di edifici di più di due ettari di superficie, al centro di una proprietà della
dimensione presumibile di 125 ettari di terra coltivata e altrettanti di bosco
e pascolo. La villa aveva una lussuosa parte abitativa dotata di portici e giardini,
adiacente agli impianti per la produzione dell'olio e del vino. I forni di anfore
trovati nel territorio, e i relitti trovati nel Mediterraneo, testimoniano come
il vino di queste zone fosse largamente esportato. Nel periodo dal 100 al 200
d.C. la villa fu riconvertita alla coltivazione dei cereali integrata dall'allevamento
di maiali.
Contemporaneamente si sviluppano sulla costa ville lussuose, spesso
di proprietà imperiale, munite di approdo privato (come nel caso della villa in
località Santa Francesca di Talamone), o che riutilizzavano precedenti strutture
portuali, come nel caso della grande villa in località la Tagliata che si sovrappone
ai resti del Portus Cosanus. La villa di Settefinestre, forse fu abbandonata in
seguito ad un'epidemia alla fine del II secolo. Nei secoli successivi, fra il
IV e il VI secolo, i ruderi della villa furono utilizzati come rifugio di pastori
nomadi. Probabilmente, a seguito del calo della popolazione nelle campagne (restano
abitate solo poche ville), fu abbandonata la manutenzione dei fossi, ancora legati
al funzionale reticolo della centuriazione, ed ebbe inizio l'impaludamento, irreversibile
per secoli. La città, ormai quasi del tutto spopolata, nel III secolo fu oggetto
di un intervento statale che vi istituì una comunità, forse un centro amministrativo,
definita nelle iscrizioni superstiti (fra cui quella murata nel palazzo comunale
di Orbetello), Res Publica Cosanorum. Nel secolo successivo sembrano frequentati
solo pochi edifici, fra cui un piccolo santuario pagano. Una ristrutturazione
risale invece alla fine del V secolo, quando una guarnigione militare s'installò
negli edifici appositamente trasformati dell'arx, poi fortificata nel VI secolo.
L'abitato di quel periodo era collocato nell'area del foro, dove fu costruita
una piccola chiesa, sopra le rovine della basilica. In questa fase Cosa potrebbe
essere stata una fortezza bizantina, posta a contrastare l'avanzata longobarda.
E' stata fatta l'ipotesi che il cambiamento di nome, da Cosa in Ansedonia, di
chiara radice greca, risalga a questo periodo.
A partire dal X secolo Ansedonia
è occupata da un nuovo insediamento che ha il suo centro nell'altura all'estremità
est della città romana. Si tratta del castello che compare fra i possessi dell'Abbazia
delle Tre Fontane di Roma. A partire dalla metà del XII secolo Ansedonia compare
nei documenti come civitas, titolo che competeva alle sedi vescovili o, come in
questo caso, alle città di antico prestigio; in seguito passò attraverso le alterne
dominazioni degli Aldobrandeschi (1274) e della Repubblica di Orvieto. Fu assediata
e distrutta dai senesi nel 1329.