Dal
1 al 29 ottobre nutrita serie di iniziative in onore del pregiato tubero e dei
prodotti eno-gastronomici a Sant’Agata Feltria nel cuore del Montefeltro
SANT’AGATA
FELTRIA (Pesaro e Urbino) – Dal 1 ottobre si apre ufficialmente a Sant’Agata Feltria,
cuore del Montefeltro nell’alto pesarese, la 22° edizione della Fiera Nazionale
del tartufo bianco pregiato e dei prodotti agro-silvo-pastorali. La grande rassegna
fieristica si tiene nelle cinque domeniche di ottobre, fino al 29 data di chiusura,
e richiama numerosi estimatori del prelibato e profumatissimo tubero. Ipnotizzati
dal carisma della "trifola", le migliaia di visitatori troveranno anche quest'anno,
accanto al celebre tubero, tutti i prodotti autunnali che questa generosa terra
appenninica offre: funghi, castagne, miele, erbe officinali, prodotti della pastorizia
e della agricoltura e, inoltre, manufatti dell'artigianato rurale ed artistico.
L'accurata selezione dei prodotti e delle specialità presenti in fiera sono garanzia
di genuinità e freschezza e fanno della manifestazione di Sant’Agata Feltria,
l'appuntamento autunnale più prestigioso del settore in Italia. Ma la fiera è
anche momento d’incontro per gustare le numerose specialità, a base di tartufo
e funghi, tra le più raffinate e squisite della cucina nazionale ed internazionale.
Le vie, le piazze, gli angoli più caratteristici dell'incantevole borgo medioevale
della cittadina, celebre per la sua maestosa rocca, a pochi passi dalla Toscana
e Romagna e che si fregia del marchio "Città del Tartufo", si riempiono di odori
inebrianti ed esaltanti, vera delizia per i buon gustai. Per tutta la durata della
manifestazione si susseguiranno mostre di alto valore culturale. Diversificate
occasioni di intrattenimento e spettacoli musicali, itineranti e di animazione
per i più piccoli. Ogni fine settimana degustazioni di vini, con apertura delle
cantine storiche e spazi espositivi dedicati all’enologia. La prima domenica sarà
assegnato il Premio “Cittadinanza onoraria di Sant’Agata Feltria”, ad illustri
personaggi del mondo dello spettacolo, cultura o politica. Spaio anche alla presentazioni
di guide e volumi dedicati all’eno-gastronomia e a piatti e ricette tipiche. Previsti
convegni, incontri, tavole rotonde e dissertazioni gastronomiche. Nei ristoranti
e locande non mancheranno menù e piatti a base del pregiato tubero.
Infolinee:
0541/848022 o www.santagatainfiera.com
Ufficio Stampa: Samuele Sabatini 329.6236574
COME ARRIVARE
A SANT’AGATA FELTRIA
AUTOSTRADA A14 BOLOGNA - ANCONA con uscita a Cesena
Nord proseguendo poi sulla SS. E 45 per Sarsina AUTOSTRADA A14 ANCONA - BOLOGNA
con uscita a Rimini Sud proseguendo poi sulla SS. 258 Marecchiese per Novafeltria
SUPERSTRADA E45 ORTE - RAVENNA con uscita a Sarsina Nord DISTANZE CHILOMETRICHE:
a Km 41 da Rimini, a Km 38 da Cesena, a Km 50 da Sansepolcro.
Per informazioni:
ufficio comune tel. 0541/929613 - Fax 0541/848591
ufficio Pro Loco 0541/848022
sito internet www.santagatainfiera.com
e-mail info@santagatainfiera.com
La storia di Sant’ Agata Feltria
Il territorio di Sant'Agata Feltria,
di confine fra Marche e Romagna, è posto fra le valli dei fiumi Savio e Marecchia.
E' uno dei centri più caratteristici del Montefeltro e offre piacevoli itinerari
culturali e naturalistici di notevole interesse. Le origini di Sant'Agata Feltri
risalgono al periodo Pre-Romano quando in questi luoghi si insediarono tribù umbre.
Essendo un popolo di agricoltori, di pastori e di cacciatori, era possibile una
loro stabilizzazione nelle foreste che coprivano il massiccio Appenninico. E'
nel VII secolo Avanti Cristo che si parla di una tribù Sapinia, costituita da
popoli Sarsinati e Solonati. Questi popoli formavano municipalità separate, fra
le quali celebri le città di Solonia e di Sarsina. Nel territorio Solonate era
compreso quello che ora costituisce il territorio del Comune di Sant'Agata Feltria.
Nelle invasioni dei Goti, Solona fu distrutta completamente. Verso il Seicento
D.C., in seguito ad una frana , dal Monte Ercole sovrastante Sant'Agata Feltria,
si staccò una roccia arenaria, sulla quale ai primordi dell'VIII secolo, sorse
una chiesa dedicata a Sant’Agata. Ai piedi della roccia, venne a costruirsi man
mano, un agglomerato di case, che in principio ebbe il nome di Pietra Arenaria,
poi quello di Sant'Agata Feltria. Secondo una leggenda, la Chiesa fu costruita
in ricordo di Sant’Agata, la quale insieme a San Leone e San Marino, risaliva
un giorno la valle del Marecchia in cerca di luoghi solitari, ove stabilirsi.
Senonchè sia per amore di quiete, sia per sfuggire alle tentazioni carnali, a
un certo momento si separarono. Così San Marino salì sul Monte Titano, San Leone
sul Monte Feltro e Sant’Agata sul Monte di Perticara. Ma anche dalle vette di
questi monti i Santi erano attratti a scambiarsi dei saluti e allora Sant’Agata
scese ad abitare negli anfratti di una roccia detta “Sasso del lupo”. Vecchie
memorie dicono, invece, che il paese di Sant'Agata sia stato fondato dai Goti,
dopo aver distrutto un castello nelle vicinanze. Sulla fine dell' 800, per investitura
ecclesiastica, tutto il territorio santagatese venne signoreggiato dai Cavalca
Conti di Bertinoro, i quali mantennero il feudo di Sant'Agata Feltria per quasi
due secoli. Nel 1177, morto il Conte Cavalca, senza aver lasciato figli, il Rettorato
di Sant'Agata Feltria che comprendeva molti castelli e varie località, fu dato
dall'Imperatore Barbarossa ad Antonio Feltrio Conte di Montecopiolo. Ma tale cessione
fu contrastata dalla Santa Sede. Nel 1296 era Signore di Sant'Agata Feltria Guido
Tiberti di Petrella, da questi passò ai Faggiolani, poi nel 1334 ai Tarlati d'Arezzo,
che nel 1335 furono scacciati da Uguccione della Faggiola (di dantesca memoria)
a cui fu tolta dal Cardinale Egidio Albornoz. Nel 1430 Sant'Agata Feltria venne
data in Vicariato ai Malatesta, che la tennero sino al 1463, quando Federico da
Montefeltro riconquisterà per la Santa Sede la Rocca di Sant'Agata Feltria ed
i Castelli dell'Alto Montefeltro. Così Federico fu nominato Duca e Gonfaloniere
della Santa Sede, facendo innalzare le sue insegne e immurare il suo stemma nelle
Rocche e nei Castelli di suo dominio. Da questa famiglia venne infeudata ai Fregoso
di Genova che la tennero ininterrottamente fino al 1660. Nel Governo si susseguirono:
Ottaviano I° Fregoso Federico, Aurelio I°, Ottaviano II°, Orazio e Aurelio II°.
Il Feudo tornò alla Santa Sede che lo passò sotto la giurisdizione della legazione
di Urbino. Nell'età napoleonica fu capitale del dipartimento del Rubicone. Nel
Risorgimento, dopo aver liberato gran parte delle Marche e della Romagna, proprio
a Sant'Agata Feltria si sciolsero i Cacciatori del Montefeltro, depositando le
armi nel "Teatro Angelo Mariani".
Il Tartufo nella storia
Il Tartufo
rappresenta l'espressione massima autunnale, regnando incontrastato sulle tavole
e provocando la fantasia dei buongustai. E' noto che fin dall'antichità si facesse
uso gastronomico di questo pregiato fungo, dai Babilonesi agli Egizi che furono
i primi a decantarne le qualità allo stesso Cheope che li preferiva cotti, per
finire al greco Teofrasto, allievo di Aristotele, al quale si fa risalire una
curiosa e famosa cantonata scientifica sulla natura del nobile vegetale: secondo
la sua interpretazione, lo sviluppo del Tartufo sarebbe da attribuire niente meno
che alla combinazione tra pioggia e tuono, introducendo in questo modo la millenaria
nomea sulle sue virtù. Era presente sulla tavola del celebre Lucullo, uomo di
proverbiali stravizi, ed ai Romani si devono, seppure incidentalmente, i nomi
correnti del Tartufo: terrae tuber, come lo definirono plinio il Vecchio e Petronio,
o truffolae terrae, vale a dire rigonfiamento della terra, sintetizzato in truffolae,
da questo il dialettale trifola e le voci straniere truffe, francese, e truffle,
inglese. Trascurati per millenni dalla gastronomia, i tartufi entrano in scena
con vigore sul nascere del secondo Millennio. L'epoca grigia del tartufo sembra
ormai lontana, sono lontane le teorie strampalate di Teofrasto e di quanti sostenevano
dicerie sulle sue virtù, e nel nuovo clima che si sta creando attorno a questo
frutto, l'epoca dei Comuni e delle Signorie rappresenta la rinascita gastronomica
che porterà i tartufi bianchi e neri a diventare i protagonisti delle tavole del
Rinascimento. Aneddoti che coinvolgono personaggi di grido del tempo si susseguono,
da Caterina Dè Medici, cui si attribuisce il merito di aver portato il Tartufo
alla corte di Francia, alla perfida Lucrezia Borgia, che pare se ne servisse per
accrescere il suo fascino. Quanto alle presunte proprietà erotiche del tubero,
qualche risvolto ormonale deve poi averlo il suo forte profumo. Perché mai le
femmine di cinghiale, stando a certi cronisti, avrebbe interrotto la fuga imbattendosi
nella fatale trifola? Di questi aneddoti ne è colmo anche il campo gastronomico
fino all'apoteosi dei Tournedos alla Rossini. Paralleli ai progressi gastronomici
sono gli sforzi per scardinare il segreto biologico del Tartufo. Scarsi i risultati:
occorre aspettare il 1831 e la Monographia Tuberacearum di Carlo Vittadini perché
lo si definisca un fungo ipogeo. Nell' attesa Molière lo eleva ai disonori della
commedia facendo di Tartufo il suo più celebre eroe negativo, ipocrita e moralmente
sotterraneo ( e l' evidente parentela della parola truffa da truffe la dice lunga
sulle delusioni già allora patite da cercatori e acquirenti). Un ingiusto destino
per il nobile frutto.