L'Abbazia di Monte Oliveto Maggiore Maggiore è incastonata
tra le bellezze di una natura cupa e selvaggia, l'Abbazia
di Monte Oliveto Maggiore Maggiore spicca per la suggestione
mistica della sua storia e per l'imponenza della mole. Le
radici del monastero benedettino, infatti, affondano in
piena epoca medievale, quando il Beato Bernardo - al secolo
Giovanni, della nobile famiglia senese dei Tolomei - abbandonò
lussi e ricchezze mondane per dedicarsi a una vita di povertà
e solitudine, passata nelle umili grotte del "deserto di
Accona".
In questo luogo inospitale, che ben presto divenne meta
privilegiata di eremiti e viandanti, nel 1319 fu fondata
la Congregazione dei monaci olivetani, che da allora in
poi si sarebbe distinta per l'abito bianco, segno di purezza.
Anche oggi, la casa degli Olivetani mantiene la sua configurazione
originaria: vi si accede attraverso un'esile lingua di terra
posta tra balze ripide e fossi, i cui declivi s'adornano
di rovi, ginestre e una fitta vegetazione.
La parte esterna del monastero è dominata da una grande
torre, costruita alla fine del XIV secolo e decorata con
due terracotte invetriate della scuola dei Della Robbia.
Nel prospetto nord è raffigurata una Madonna con bambino
e in quello sud un San Benedetto Benedicente. Superata la
torre, ci si avventura lungo un sentiero fiancheggiato da
cipressi, al cui centro si trova una peschiera cinquecentesca.
In passato, i monaci utilizzavano questa vasca per ricavare
alimento nei periodi in cui la "regola" vietava il consumo
di carne. Alla fine della strada si scorge l'austero e maestoso
profilo dell'Abbazia gotico-romana, la cui costruzione fu
avviata nel 1401. Al suo interno, rivisitato in stile barocco,
hanno un particolare rilievo il leggio ligneo di Raffaele
da Brescia e il magnifico coro ligneo intarsiato da fra'
Giovanni da Verona, che occupa tutta la navata.
L'attenzione dei visitatori, però, è concentrata soprattutto
sul chiostro grande, un gioiello ornato da uno dei cicli
più importanti dell'arte rinascimentale: le Storie di san
Benedetto. Sono 36 grandi scene, iniziate nel 1497 da Luca
Signorelli e terminate tra 1505 e 1508 da Giovanni Antonio
Bazzi detto il Sodoma. L'armonia dei colori, l'incisività
delle forme e l'espressività delle figure non nascondono
le diversità stilistiche dei due autori: solenne ed elegante
Signorelli, seducente e ironico il Sodoma. Il monastero
ha anche una ricchissima biblioteca, che custodisce circa
40mila volumi, opuscoli e incunaboli (ancora oggi i monaci
sono impegnati nel restauro di pergamene e di carte antiche),
e un'antica farmacia, dove i frati continuano a produrre
miele, liquori a base di erbe, unguenti e rimedi vari.