Le
tradizioni Acquesiane e il territorio circostante offrono molti spunti di approfondimento
storico-culturale. Tra le cose da visitare ricordiamo la Riserva Naturale di Monte
Rufeno dove è possibile fare escursioni e visite all'interno dell'area protetta
dal Corpo Forestale dello Stato, mentre come approfondimenti culturali consigliamo
di documentarvi sulla Via Francigena, la Ceramica Acquesiana, Girolamo Fabrizio
e il Sentiero dei Briganti.
Acquapendente e la via Francigena
Il nome di "Aquapendente" lo troviamo riportato nell'itinerario del viaggio che
nel 994 l'arcivescovo di Canterbury Sigerico, fece per tornare da Roma alla sua
sede episcopale. Il percorso descritto dall'arcivescovo tocca tra l'altro Bolsena,
Acquapendente e Siena. Il lungo, e fino a quel momento inedito, percorso stradale,
in documenti toscani di poco posteriori al viaggio dell'arcivescovo di Canterbury,
venne chiamata strada "Romea", cioè strada percorsa dai numerosi pellegrini che
si recavano a Roma presso la tomba di San Pietro. Ma anche "Francigena" o "Francesca",
a riprova della sua particolare funzione di collegamento con le regioni vitali
di dominio franco. Infatti col passare del tempo la "Francigena" assunse sempre
maggiore importanza in quanto, abbandonate le antiche strade consolari romane
per motivi naturali e politici, divenne anche arteria commerciale, strada percorsa
da importanti viaggiatori e veicolo di scambi culturali. Acquapendente, come tutte
le città ed i paesi posti su questa strada, deve molto della crescita al suo passaggio
che oltre a far nascere osterie e "spedaletti" incrementava l'artigianato locale
e diffondeva l'arte Romanica con elementi stilistici anche di provenienza nordica,
presenti tra gli altri nella cripta del Santo Sepolcro. Questi elementi, come
il fatto di riportare alla luce o mettere in evidenza parti del tracciato di questa
strada sono allo studio di un gruppo di ricercatori che sta operando al meglio
nel territorio aquesiano.
La Ceramica Acquesiana La
tradizionale ceramica ad Acquapendente ha origini antichissime dalle prime produzioni,in
verde ramina e in bruno manganese, dell' alto medioevo fino alle variopinte produzioni
delle botteghe attuali innumerevoli generazioni di artigiani hanno perfezionato
quest' arte antica quanto il mondo.Le tracce di questo lavoro oltre che nei laboratori
ancora esistenti si possono leggere negli angoli e lungo le vie del paese;palazzi
con i manufatti ceramici ad indicare una religiosità popolare d' altri tempi.Il
sedicesimo secolo fu senza dubbio il secolo di maggior splendore di questa arte
dai documenti si apprende infatti che le produzioni Aquesiane erano molto apprezzate
a Roma. Oltre all'attività in loco esistono diverse testimonianze di un espandersi
di queste attività ai paesi del Ducato di Castro:" ....un vasellano di Acquapendente
Giminiano Stellifero si è offerto di venire a mettere l'arte della vasellana in
Castro, ha domandato le conditioni che sono in filza quali si leggeranno che gli
si debbano osservare, et concedere.."Mentre nel libro dei consigli di Farnese
del 1566 si legge:" il vascellaro di acqua pendente che vole venire a stare in
Farnese a fare bottiga à lavorare di vascelli, et per essere la terra da lavorare
lontano a dimanda per la comunità si obblighi a portarli e condurli in Farnese
una somma di terra da lavorare per foco". Dagli scritti del Biondi storico locale
del 1500 si deduce che i vascellari erano riuniti in corporazione e nel 1589 erano
distinti dai fornaciari che lavoravano i mattoni e le tegole anche se questi li
precedevano nelle processioni e quindi più importanti nella scala sociale del
tempo. Oltre alle testimonianze scritte prima, ne sono emerse altre grazie alla
sezione locale dell'Archeoclub d'Italia che ha concentrato gran parte della propria
attività sulla ricerca di ceramiche di uso domestico; individuando un' area in
cui probabilmente esisteva una fornace attiva proprio alla fine del XVI secolo.
E' stata trovata una quantità di materiale che permetterà lo studio della ceramica
aquesiana nei secoli.
Riserva Naturale Di Monte Riufeno La
Riserva Naturale Monte Rufeno si estende per 2892 ettari (circa 4000 campi di
calcio) in posizione nord-nordest nel territorio aquesiano. I centri abitati di
Trevinano e Torre Alfina, molto vicini alla riserva, rappresentano ideali punti
di partenza per escursioni e visite all'interno dell'area protetta. Si tratta,
comunque, di un bosco di querce con inframezzati piccoli appezzamenti a pino in
cui il ridotto intervento antropico degli ultimi 30 anni ha permesso lo viluppo
di entità floristiche e faunistiche di notevole interesse. Istituita nel 1983
dalla regione Lazio, la Riserva Naturale Monte Rufeno, gestita dal comune di Acquapendente,
fa parte del sistema dei parchi e delle riserve naturali della regione. Gli scopi
dell'area protetta sono quelli di conciliare lo sviluppo economico e la conseguente
creazione di posti di lavoro con la protezione dell'ambiente costituendo un prototipo
di sviluppo esportabile all'esterno. Tra le attività della riserva si segnalano
la promozione del turismo naturalistico di tipo residenziale, l'agricoltura biologica,
il servizio di antincendio boschivo, la formazione e l'educazione ambientale,
la ricerca scientifica.
Girolamo Fabrizio Collocato al centro
dell'omonima piazza il monumento a Girolamo Fabrizio, continua a rappresentare
simbolicamente la riconoscenza della popolazione verso questo illustre concittadino,
insigne medico chirurgo ed anatomista del XVI secolo. Girolamo Fabrizio nacque
ad Acquapendente nel 1533, iniziò gli studi di medicina verso il 1550 a Padova
dove si laureò a circa 26 anni, iniziando subito una brillante carriera ed a 32
anni già poteva tenere le sue lezioni e "fare l'anatomia". Nel 1534 entra a far
parte del sacro collegio dei medici e dei filosofi; nel 1966 è confermato professore
a vita con il titolo di sopraordinario. Intanto la sua fama era giunta in tutta
Europa e vantava conoscenze e pazienti illustri come Sigismondo III Re di Polonia,
i Granduchi di Toscana, Galileo Galilei e molti altri.A Padova sposò Violante
Vitali da cui non ebbe eredi, per questo motivo prese con se una nipote Semidea
andata in sposa poi al nobile veneziano Daniele Dolfin. Alla morte del Fabrizio,
avvenuta in Padova il 21 Maggio 1619, la nipote risultò la beneficiaria di grossa
parte della sua eredità ma non ebbe il tempo di godere del fruttuoso lascito morendo
essa stessa sette mesi dopo il celebre zio chirurgo.
Il sentiero dei Briganti
Il
triste fenomeno del brigantaggio, che condizionò la vita nell'Alta Tuscia lungo
l'intero arco del XIX secolo, è stato scelto come filo conduttore di un itinerario
storico, tracciato tra Monte Rufeno (presso Acquapendente) e Vulci (dalla parte
di Canino), attraverso i luoghi che furono testimoni della vita, dei delitti e
della fine di molti briganti. Un itinerario percorribile a piedi, in mountainbyke
o a cavallo, indicato da un'apposita segnaletica direzionale e dotato di un apparato
illustrativo per la conoscenza sia delle principali emergenze culturali lambite
dal sentiero sia delle più note figure di briganti che, per le loro gesta, sono
passate alla storia. Il progetto, proposto dalla comunità montana "Alta Tuscia
Laziale" e dai comuni di Canino, Ischia di Castro e Farnese, è stato elaborato
nel novembre del 2000 nell'ambito degli interventi previsti dal Piano di Azione
Locale del G.A.L. "Alta Tuscia" ed è stato prlesentato alla Regione Lazio per
poter accedere ai finanziamenti dell'iniziativa comunitaria Leader II. E' stato
finanziato per il 78% dalla Comunità Europea e per la restante parte dagli enti
che hanno proposto l'iniziativa. La comunità montana ne ha, poi, curato in prima
persona l'appalto, la realizzazione e la promozione. Un fenomeno sociale favorito
da una miseria diffusa, da un governo ottuso, da una giustizia giusta solo per
nobili e latifondisti, ma anche un falso mito, quello del brigantaggio, nel senso
che i vari Tiburzi, Biagini, Menichetti e quanti altri, non furono certo quei
Robin Hood che una cattiva letteratura ha voluto farci credere. E l'esempio migliore
ce l'offre proprio Domenico Tiburzi, a ragione considerato come il più famoso
brigante dell'Alta Tuscia, il "re del Lamone", non per particolari doti di crudeltà
o di coraggio, bensì per l'organizzazione che seppe imprimere alla sua banda,
a cui dette una struttura quasi aziendale, con un presidente al vertice (lui stesso),
un amministratore delegato (Domenico Biagini) ed un consiglio di amministrazione,
in cui si avvicendarono vari personaggi, alcuni dei quali (Pastorini, Basili e
Bettinelli), colpevoli di aver tradito gli scopi aziendali, vennero anche "licenziati",
ovviamente tramite l'eliminazione fisica. Come impiegati furono assunti fattori,
guardiani e benestanti e come operai intere schiere di poveracci, reclutati nei
vari paesi ed utilizzati soprattutto come vivandieri ed informatori. Si trattò,
quindi, di una vera e propria Holding del crimine, organizzata, come si direbbe
oggi, secondo criteri di grande "manegerialità". Non a caso il regno di Tiburzi
durò molto a lungo proprio grazie agli equilibri che era riuscito a stabilire
con i potentati locali, evitando accuratamente di scontrarsi con la polizia e
tutelando gli interessi dei possidenti, a cui garantiva protezione non solo dagli
altri briganti, ma anche da ogni altro genere di problemi, dietro un regolare
compenso, come fosse una paga, un premio assicurativo o una tassa sulla salute.
Percorrendo il sentiero non sarà possibile cogliere tutto questo, quello che era
un territorio di "frontiera", di malaria e di miseria è oggi un grande comprensorio
ricco di storia e di natura intatta. Il sentiero dei briganti vuole fornire una
ulteriore occasione per addentrarsi e per conoscere gli angoli più belli e segreti.
Tiburzi, il livellatore della Maremma, e la sua banda vi permetteranno di entrare
nel loro territorio, fatelo in punta di piedi, dal folto del bosco "loro" vi terranno
d'occhio. Buon viaggio.