Le origini di Montaione La leggenda La
leggenda ci narra di Ajone, un giovane nobile Volterrano che, passando da questi
luoghi, allora ricoperti da una fitta foresta, trovò in una piccola casa, Ine,
che piangeva la sorte della figlia, Figline, rapita da un certo Gambasso. Ajone,
che aveva deciso di liberare la bellissima fanciulla, entrò in guerra contro il
suo rapitore e, battutolo, liberò Figline, la sposò, fondò il paese di Monte Ajone
e, a poca distanza, costruì il castello di “Figline”. Tempo
dopo i discendenti di Ajone e Figline, si trovarono a fronteggiare un esercito
nemico che, dopo un lungo assedio, riuscì ad entrare nel castello, distruggendolo.
Il popolo di Monte Ajone, smarrita la guida e persa la fede, ritornò all’idolatria
e decise di sacrificare agli dei “Filli”, la più bella fanciulla del paese, affinché
riportassero la pace e la prosperità, ma un giovane cavaliere fiorentino, passando
da quei luoghi, rimase inorridito dal sacrificio umano che si stava per perpetrare
e attratto dalla bellezza di Filli, obbligò i popolani a liberare la ragazza ed
a sacrificare al suo posto una vitella. Il giovane, poi, sposò Filli e ricostruì
il castello di Figline, ove vissero felici per molti anni. Il
giovane era così innamorato della sua Filli, che la chiamava sempre “Filli cara
“. Fu così che egli stesso fu chiamato “Fillicara”. I loro discendenti si chiamarono
Fillicara, poi trasformato in Filicaja, ed ebbero come emblema il vestito rosso
stracciato dai tormenti del supplizio, che Filli aveva donato al suo liberatore
e che questi aveva usato come bandiera. (I Filicaja vivono tuttora a Montaione,
proprio nel luogo chiamato “Al Filicaja”). La storia Montaione
è un paese di origine etrusca; la conferma si ha dai ritrovamenti di alcune necropoli
e fornaci presso Iano, Castelfalfi, Bellafonte e Poggio all’Aglione.
Il più antico reperto ritrovato è una stele del VI secolo a.C. che riproduce un
guerriero con elmo, lancia e scudo su una pietra tombale che riporta l’età del
defunto. La stele è stata rinvenuta presso l’abitato di Iano, ed attualmente si
trova presso la Soprintendenza Archeologica di Firenze. Altri reperti sono stati
rinvenuti presso Castelfalfi (tomba etrusca con urne di stile volterrano), presso
Poggio all’Aglione e in località Figline. Ancora oggi non è difficile trovare
reperti etruschi in superficie in località Rignano e presso l’abitato di Santo
Stefano. I
ritrovamenti dell’epoca romana, invece, sono scarsi, poiché la colonizzazione
fu meno intensa di quella etrusca. Il monumento più importante è la cisterna romana
situata nelle vicinanze di Montaione, in località Sant’Antonio, prospiciente alla
strada che porta al Poggio all’Aglione. La cisterna, lunga 27 metri e larga 3,
ha una capacità di 200.000 litri; era un serbatoio di decantazione che riceveva
l’acqua di alcune sorgenti, tuttora presenti sulla pendice nord del Poggio all’Aglione,
e serviva un abitato di grosse dimensioni, situato più a valle. Altre
testimonianze dell’epoca sono: le fornaci del Muraccio e di Bellafonte. Del
periodo paleocristiano si hanno testimonianze in località San Biagio, ove esisteva
una miniera sfruttata dagli Etruschi e dove troviamo un oratorio paleocristiano,
forse costruito su una tomba etrusca. Maggiori
notizie dei luoghi si hanno dopo le invasioni barbariche, quando sui vecchi ruderi,
in particolare nei luoghi che offrivano maggior sicurezza, i Longobardi costruirono
nuovi insediamenti, spesso fortificati, con chiese in stile romanico e palazzi
comunali, giacché quasi tutti furono liberi Comuni. Dell’epoca abbiamo resti di
dighe e di mulini lungo il fiume Evola e, nei boschi, ruderi di fornaci di calce
e laterizi e di fornaci per la lavorazione del vetro. Nel
572 d.C. viene fondato il ducato longobardo di Lucca ed il suo ultimo duca (il
penultimo, secondo alcuni) dà il proprio nome ad un villaggio che chiama Mons
Allonis; successivamente il nome cambierà in Montacone, poi in Montatone, quindi
nell’attuale Montaione. Più
o meno allo stesso periodo risalgono le notizie di un castello chiamato Figline,
ricostruito su un fortilizio tardo-romano. Il toponimo sembra risalire al latino
“figulinae”, indicante il luogo ove i romani trovarono molte (figurine) statuette
etrusche. Verso
il 700 d.C. il longobardo Faolfi fonda il “Castrum Faolfi”, l’attuale Castelfalfi. Nel
981 d.C. troviamo citato il castello di “Montacunni”, ma la data più certa che
identifica l’attuale Montaione è il 1257, quando s’identifica una comunità organizzata,
in un paese cinto da mura inserito nel distretto di San Miniato, stato cuscinetto
tra le Repubbliche di Firenze, Siena e Pisa. Nel 1268 i montaionesi offrirono
il castello a San Gimignano provocando una vertenza per comporre la quale intervenne
Firenze, che stabilì il ritorno di Montaione sotto San Miniato. Da quel controllo
si affrancò solo nel 1369 e nel 1370 entrò a far parte del contado fiorentino
divenendo sede di un potestà. La vita di queste comunità “di frontiera”, non fu
per nulla facile, per le continue invasioni che provocavano saccheggi e incendi.
Nel 1395, durante una guerra tra fiorentini e pisani, il castello di Castelfalfi
fu distrutto; in seguito fu ricostruito così come si presenta attualmente, coronato
da quattro torri, da bastioni e da solide mura. Nei
secoli successivi l’economia, basata quasi totalmente sull’agricoltura, condusse
Montaione “nell’anonimato” ed il suo territorio si ridusse progressivamente tra
la fine dell’Ottocento ed i primi anni del Novecento, quando Balconevisi e S.
Quintino passarono sotto il Comune di San Miniato, Cedri passò al Comune di Peccioli,
le frazioni di Coiano e Castelnuovo passarono sotto Castelfiorentino, Canonica
e Lariano al Comune di San Gimignano, e nel 1917, quando Gambassi, con le frazioni
di Varna, Castagno e Catignano, divenne comune autonomo. L’inurbazione
provocata dall’industrializzazione degli anni sessanta, provocò un esodo che spopolò
le campagne e solo da poco tempo si assiste ad un ritorno della popolazione ed
al recupero delle strutture rurali abbandonate. Tutto questo, però, ha avuto anche
aspetti positivi, perché ha fatto sì che i luoghi mantenessero quasi intatte le
proprie caratteristiche, non deturpati dall’industrializzazione selvaggia che
ha condannato altri territori. |