SAN VIVALDO Il
convento francescano di San Vivaldo, dichiarato monumento nazionale, si presenta
come un luogo romantico e selvaggio, quasi isolato dal mondo il cui nome e la
cui storia sono legati ad un antico episodio di solitudine e di preghiera. Una
singolare serie di eventi fa di questo luogo un “unicum” dell’arte e della cultura
occidentale. Dal 1185 al 1280 lo sappiamo in possesso dei Frati della Croce di
Normandia che, probabilmente, custodivano l’antica chiesetta di Santa Maria in
Camporena, mentre le prime notizie di una “Ecclesia San Vivaldi” si hanno nel
1220. Da questo dobbiamo dedurre che il nome non deriva dal beato Vivaldo Stricchi
da San Gimignano, l’eremita che, nella prima metà del 1300 si isolò e morì in
questi luoghi in odore di santità, la cui morte dette inizio ad una venerazione
che si è diffusa fino ai nostri giorni. La
leggenda narra che il cadavere dell’eremita fu trovato nel cavo di un gigantesco
castagno che, in vita, aveva usato come dimora, e che i fedeli distrussero perché
ognuno voleva un pezzo dell’albero da portare via come reliquia. Sulle radici
del castagno sorse un oratorio che, ampliato nel 1416, ricostruito nel 1426 ed
affidato ai Frati Minori di San Francesco fin dal 1497, divenne la chiesa che
ancora oggi possiamo ammirare. Ciò
che distingue il convento di San Vivaldo da altri conventi francescani è l’insieme
di tempietti e cappelle, che si trovano nel bosco intorno alla chiesa, che costituisce
il complesso denominato “Sacro Monte”. Nel
medioevo il fenomeno del pellegrinaggio in Terra Santa assunse dimensioni importanti,
perché la gente voleva vedere di persona i luoghi dove Gesù aveva vissuto, era
stato crocefisso ed era risorto, ma il viaggio era difficile e pericoloso poiché
la Palestina era controllata dai Turchi pertanto, si cercò di ottenere un surrogato
di tali viaggi ricostruendo i Santi Sepolcri ed i luoghi della Terra Santa. Nella
selva di Camporena il complesso fu costruito tra il 1500 e il 1516 da Fra Tommaso
da Firenze, che volle fondare quella che fu definita “la Gerusalemme della Valdelsa”,
riproducendo in una serie di cappelle i luoghi sacri della Gerusalemme di Palestina,
secondo un itinerario mistico che ricostruiva gli episodi della vita, della passione
e della morte di Gesù. Fra Tommaso, che disponeva di informazioni precise, probabilmente
derivanti da un’esperienza diretta, essendo stato per molti anni in Oriente ed
era in contatto anche con Bernardino Caimi, che in quegli stessi anni progettava
la sua Gerusalemme a Varallo Sesia, scelse il luogo con tale accuratezza che,
nel corso di recenti studi, è stato possibile verificare il rigore con il quale
aveva cercato di riprodurre la topografia della Gerusalemme sacra. Egli aveva
identificato in una profonda forra boscosa la Valle di Giosafat, nel rilievo che
costituiva il margine sud della forra il Monte degli Olivi, nel ripiano naturale,
a nord, la Spianata del Tempio mentre, più oltre, una collinetta si trasformava
in un ideale Monte Calvario. In
seguito, furono aggiunti altri episodi (l’Annunciazione, la fuga in Egitto, la
Samaritana), anche a seguito di un terremoto che aveva distrutto alcune cappelle;
in una “Nota dei Misteri” del 1685 se ne ricordano 28. In
poco tempo il “Sacro Monte” assunse molta importanza, tanto che nel 1516 Papa
Leone X concesse le indulgenze per i devoti che vi accorrevano numerosi, mentre
nel 1528 Papa Clemente VII le confermava e poneva il convento sotto la protezione
dei Capitani di Parte. Nel
tempo, però, la zona della Valdelsa perse importanza, divenne terra di confine
e si isolò tanto che, nel 1722 il convento fu dichiarato “ritiro per castigo dei
sacerdoti” da Papa Innocenzo XIII e dal Granduca Cosimo III, nel 1808 fu soppresso
e nel 1887 vi ritornarono i Frati Francescani. Nel
1971 sono iniziati complessi lavori di restauro, conclusi con il completo recupero
della “Gerusalemme” di S. Vivaldo. |